Di recente Assoartisti-Confesercenti, associazione di categoria con sede a Roma (per ulteriori informazioni e per visionare il testo della petizione, vedi sul sito http://www.assoartisti.it), ha indirizzato una petizione, con relativa raccolta di firme, all’On. Sacconi, attuale ministro del Lavoro, all’On. Saglia, Presidente della commissione Lavoro alla Camera nonché all’On. Ceccacci Rubino, parlamentare di Forza Italia da tempo interessata alle riforme del settore lavorativo dello spettacolo. La petizione contiene una richiesta di modifica legislativa del settore previdenziale dello spettacolo. Ci pare opportuno esaminare il contenuto di questa proposta, allo scopo di evidenziarne solamente i profili di diritto e non certo di merito, non di nostra spettanza.
La citata petizione esordisce rammentando la non felice situazione dell’arte e dello spettacolo, dovuta anche al disagevole trattamento pensionistico di spettanza dell’Enpals, il quale si occupa della previdenza per artisti, tecnici e in generale di numerosi operatori del settore (le categorie sono predeterminate per legge, con D.L.C.P.S. 16 luglio 1947, n. 708).
Viene poi sottolineata l’importanza al riguardo dei tempi necessari per la maturazione della pensione Enpals: «il regolamento che prevede l’anno contributivo formato da 120 giornate lavorative, per ottenere una pensione diretta dopo i 25 anni di lavoro non corrisponde alla realtà che vede la media contributiva di 36 giornate».
La petizione prosegue così: «i soggetti che possiedono una prima posizione contributiva principale, sono obbligati, ed è giusto che lo sia onde impedire concorrenza sleale con chi vive di questo lavoro, a versare contributi per un numero di giornate che solitamente non vanno al di là delle 30/35 giornate l’anno che, al termine dell’attività lavorativa, poche volte garantisce una integrazione dignitosa. Tutto ciò a danno sia dell’erario sia dello stesso Ente di Previdenza a cui sfuggono versamenti per carenza di organici di controllo e a poco è servita la convenzione ENPALS/SIAE, che incontra serie difficoltà con i propri accertatori a svolgere regolarmente l’impegno affidatogli dall’ente di Previdenza».
Si sottolinea poi la rilevanza del lavoro «sommerso» nel settore, «giustificato o mistificato da attività dilettantistica non soggetta a contribuzione, che diventa di fatto concorrenza sleale verso chi (circa 150.000) vive di questo mestiere ma incontra serie difficoltà ad ottenere dei cachet adeguati all’impegno che presta».
Tutto ciò ha portato alla proposta di petizione in parola, indirizzata al Parlamento e al Ministero del Lavoro, mirata all’adozione immediata di un decreto ministeriale, previa audizione parlamentare, per un diverso trattamento pensionistico per artisti e tecnici della musica e dello spettacolo, trattamento articolato nei seguenti punti:
1) il riconoscimento di attività lavorativa artistica e culturale per tutte le figure comprese nel citato D.L.C.P.S. n. 708/47;
2) il riconoscimento di tre fasce pensionistiche, suddivise per giornate lavorative:
a) 50 giornate lavorative;
b) 80 giornate lavorative;
c) 120 giornate lavorative;
3) la concessione dell’autorizzazione al versamento dei contributi volontari mancanti ad ogni singola fascia contributiva;
4) il riconoscimento del trattamento pensionistico Enpals rispetto ad ogni singola fascia contributiva al termine dell’attività lavorativa.
La petizione conclude affermando che per l’applicazione del provvedimento non sarebbero richiesti fondi aggiuntivi, trovandosi già le risorse nella gestione delle contribuzioni e dagli effetti delle innovazioni. Gli effetti in parola sarebbero diversi e benefici, come l’aumento dei fondi pensionistici all’ente di previdenza, l’aumento di iscritti al fondo (nella certezza del riconoscimento dei propri contributi in forma pensionistica), maggiori fondi di investimento per migliorare le condizioni di trattamento pensionistico degli operatori del settore.
La proposta è ricca e articolata ma dobbiamo premettere che i 25 anni di contributi indicati da Assoartisti non coincidono con le annualità in vigore: difatti al momento sono sufficienti 5 anni di contribuzione (20 anni nel caso di lavoratori iscritti prima del 1996), come stabilito dalla riforma delle pensioni della L. 335 del 1995.
Il prosieguo del ragionamento esposto da Assoartisti fa riferimento ad un’esigenza molto sentita nel settore: contemperare la realtà dei dilettanti, come tali lavoratori occasionali e saltuari, versanti pochi contributi annui, insufficienti a maturare alcunché nelle casse Enpals, con quella dei professionisti, che si trovano di fronte alla «concorrenza sleale» dei suddetti dilettanti sì da limitare le loro occasioni lavorative, non permettendo dunque di svolgere le giornate lavorative volute e necessarie. Da cui conseguirebbe, secondo Assoartisti, un vasto lavoro «sommerso», non dichiarato da parte di entrambe le fasce di soggetti, scarsamente sanzionato da controlli minimi e insufficienti, nonostante la convenzione con la SIAE su tale frangente. Una benefica riduzione di tale «costrizione» al sommerso sarebbe imputabile ad una riforma dei meccanismi previdenziali, così come enumerati nella proposta.
Detto questo, possiamo inoltrarci nella disamina dei punti focali della proposta:
1) Per Assoartisti la risoluzione delle problematiche starebbe anzitutto nella riforma delle categorie pensionistiche, ma ancor prima nel riconoscimento di tutti i lavoratori, ex art. 3 D.L.C.P.S. n. 708/47, come esercenti attività culturale e artistica. Non è ben chiaro, in proposito, l’innovazione: i lavoratori rientranti nelle categorie ex art. 3 citate (dilettanti o professionisti che siano) sono già, per il fatto stesso di esservi incluse, ricomprese nella sfera del lavoro di spettacolo, concetto certo sfuggente ma sicuramente comprensivo, per interpretazione lata, anche di quanti operino nella cultura e nell’arte. Ancor più se si fa mente locale delle categorie integrative, introdotte ad opera del D.M. del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 15 marzo 2005, assai variegate ma rientranti direttamente o indirettamente nel «lavoro dell’arte» e dello spettacolo (salvo le eccezioni riconosciute successivamente dalla giurisprudenza come estranee e depennate dalla lista). Pertanto la suggerita riforma sembra ribadire, con una semplice parafrasi, lo stato attuale delle cose, salvo una miglior specificazione da parte di Assoartisti della terminologia adoperata.
2) Le categorie in vigore presso l’Enpals sono tre:
– I gruppo: lavoratori a tempo determinato per attività artistica o tecnica direttamente connessa con la produzione di uno spettacolo, con una media di 120 giornate annue per almeno 5 anni, per un totale di 600 giornate contributive;
– II gruppo: lavoratori a tempo determinato diversi da quelli del I gruppo, con una media di 260 giornate annue per almeno 5 anni, per un totale di 1.300 giornate contributive;
– III gruppo: lavoratori a tempo indeterminato di ogni categoria di spettacolo, con una media di 312 giornate annue per almeno 5 anni, per un totale di 1.560 giornate contributive.
Dobbiamo ammettere che le fasce proposte da Assoartisti sono alquanto scarne, in confronto, ma va precisato che forse Assoartisti fa riferimento ai requisiti in vigore per chi sia iscritto in Enpals prima del 1996, onde per cui i limiti sono da intendersi così: I gruppo: 2.400 giornate in minimo 20 anni; II gruppo 5.200 giornate in minimo 20 anni; III gruppo: 6.240 giornate in minimo 20 anni).
A confronto con quanto proposto nella petizione, troviamo una drastica riduzione delle giornate annue necessarie per maturare il diritto ad un’annualità (circa un terzo delle attuali), mentre rimarrebbe immutato il numero di anni necessario per maturare il diritto alla pensione Enpals, o almeno così pare da intendersi la proposta.
Questo sicuramente aiuterebbe moltissimi, dilettanti e non, a raggiungere le soglie minime contributive per poter rivendicare la pensione. Tuttavia ricordiamo che già attualmente, come da noi già rilevato in sede di commento ad altra petizione proposta in passato dall’associazione Musicarticolo9, è astrattamente possibile far figurare tra le giornate lavorative anche giornate di prova e sopralluoghi, accorciando di molto il percorso necessario per raggiungere le soglie in vigore.
Una perplessità derivante dalle fasce proposte da Assoartisti si può ravvisare nel tetto massimo: se la fascia più alta è di 120 giornate annue, che accadrà ai lavoratori subordinati che svolgono giornate annue fino a 320 e oltre? Matureranno prima la pensione? Non scordiamoci che esistono anche dei massimali Enpals, dal trattamento contributivo particolare, per cui i suddetti lavoratori subirebbero, di fatto, un trattamento non equo nei confronti degli altri lavoratori. Per quanto in minoranza, anche i lavoratori subordinati con una mole di giornate lavorative pari a quelle di altri settori del lavoro subordinato andrebbero adeguatamente contemplati ed equamente disciplinati, tanto più in armonia con una proposta di radicale riforma dei criteri Enpals.
Potrebbe essere più semplice, forse, chiedere il ritorno ai valori di annualità precedenti al 1992, elevati con D.Lgs. n. 503/1992, in precedenza pari a 60 giornate per il I gruppo e 180 per il II gruppo. Ricordiamo che le modifiche introdotte nel 1992 (cd. Riforma Amato) seguivano un disegno complessivo di riordino del comparto previdenziale, pertanto una riforma del settore spettacolistico, sotto questo profilo, dovrebbe accompagnarsi ad un ripensamento generale del sistema pensionistico.
3) Attualmente è possibile versare contributi previdenziali volontariamente, a integrazione di quanto già versato, non corrispondenti cioè ad effettive giornate di lavoro (cd. contribuzione volontaria). Ciò è ammissibile solo quando disciplinato e giustificato dalla legge, come dal D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432 e dal D.Lgs. 30 aprile 1997, n. 184, dietro presentazione di una domanda di autorizzazione ed in presenza di requisiti di legge, per tutte le casse di previdenza obbligatorie. Dopo il vaglio dell’ente competente l’iscritto viene autorizzato al versamento dei contributi nelle modalità di legge.
Lo scopo è di consentire all’assicurato, che abbia interrotto la sua attività lavorativa, sia in modo temporaneo che permanente, di incrementare il numero di contributi per raggiungere il diritto a pensione o per aumentarne l’importo.
L’autorizzazione alla prosecuzione volontaria può essere richiesta:
– per i periodi scoperti da contribuzione a seguito di cessazione, temporanea o permanente, dell’attività lavorativa;
– per i periodi di congedo parentale nel caso di: astensione facoltativa dal lavoro nei primi tre anni di vita del bambino; permessi per allattamento; periodi di assenza per malattia del bambino di età compresa tra i tre e gli otto anni;
– per i periodi di interruzione o sospensione dell’attività lavorativa previsti da specifiche disposizioni di legge o contrattuali, per la durata massima di tre anni.
Per ottenere l’autorizzazione è necessario che l’iscritto possa far valere alternativamente:
– tre anni di contributi effettivi versati nei cinque anni precedenti la domanda, oppure
– cinque anni di contributi effettivi versati in qualsiasi epoca.
Simili a questa forma contributiva sono i cd. contributi da riscatto, con i quali l’assicurato versa una somma integrativa della propria posizione assicurativa, ottenendo il riconoscimento di: periodi per i quali si è verificata un’omissione contributiva ormai prescritta; periodi non coperti da contribuzione obbligatoria; periodi previsti da apposite disposizioni di legge. Esempi di tali periodi possono essere quelli del corso legale di laurea, lauree brevi e titoli equiparati, di attività lavorativa nel campo dello spettacolo svolta all’estero in paesi non convenzionati con l’Italia, ecc.
Come detto, tali opzioni contributive sono disciplinate rigidamente dalla legge per evitare di prestarsi ad abusi indiscriminati che sgancino la contribuzione dalla effettiva prestazione lavorativa. Così per tutte le casse di previdenza obbligatorie, compresa quella Enpals.
L’introduzione di un meccanismo eccezionale come quello proposto da Assortisti, esente – pare di intendere – da ulteriori requisiti, richiederebbe un’attenta previsione di limiti e modalità di calcolo, tutti da pensare e articolare in armonia con la Costituzione, con le norme generali della previdenza e con il trattamento di ogni lavoratore del settore.
4) Non è ben chiaro cosa intenda esattamente la petizione nell’ultima rivendicazione. Se dobbiamo intendere che il lavoratore abbia diritto alla pensione Enpals di vecchiaia nel momento in cui raggiunge la soglia pensionistica, ebbene questo è già il meccanismo in vigore, purchè i contributi abbiano raggiunto il minimo prestabilito (rivisto al precedente punto 2). Per la precisione, il diritto alla pensione di vecchiaia sorge al verificarsi di tre presupposti: compimento dell’età pensionabile, raggiungimento dell’anzianità assicurativa e contributiva minima, cessazione del rapporto di lavoro.
Se dobbiamo invece pensare che il lavoratore possa andare in pensione senza il raggiungimento di un’anzianità minima contributiva quanto ad annualità, ci troviamo di fronte all’applicazione di un principio estraneo all’attuale ordinamento previdenziale: chiunque potrebbe andare in pensione a qualunque età, effettuando una semplice dichiarazione di erogazione di quanto maturato (ovviamente la pensione riconosciutagli sarebbe comunque proporzionata a quanto versato). La scomparsa della soglia in parola renderebbe ingestibile, soprattutto da un punto di vista finanziario, i fondi pensione, dato che molte posizioni previdenziali sarebbero troppo esigue per costituire fonti di interessi minimi, necessari economicamente. Dobbiamo, dunque, necessariamente fare riferimento alla vigente età pensionabile applicata a diverse categorie Enpals, come quella concernente i concertisti e cantanti di musica leggera: 60 anni per gli uomini e 55 anni per le donne, se iscritti dopo il 31 dicembre 1995, ex D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 192.
Il limite minimo di compimento di un’età pensionabile – comunque taciuto dalla petizione – non arginerebbe tuttavia di molto i problemi in discussione, visto che resterebbe un profilo di antieconomicità, davvero critico per casse come quelle previdenziali dello Stato, oltre che di disparità ingiustificata di trattamento rispetto agli iscritti di altre casse previdenziali obbligatorie.
Ribadendo che il presente scritto ha il solo scopo di illustrare la proposta e di analizzarla da un punto di vista tecnico, non essendo questa la sede per una discussione sul merito e sul valore politico rispetto alla stessa, più in generale si auspicano proposte di riforma della previdenza dello spettacolo ampie, strutturali e largamente condivise tra gli operatori, piuttosto che interventi mirati del legislatore, i quali, come la recente storia ci ha dimostrato, non possono che costituire deboli palliativi.